Due donne, l’una di fronte l’altra, si svegliano dopo avere dormito nello stesso letto. Sono madre e figlia, infermiera disperata di Sacramento e rampante adolescente incompresa. È l’attacco di Lady Bird, il film (semi)indipendente che non ti aspetti di vedere agli Oscar. Già vincitore di due Golden Globe (Miglior film o commedia musicale, Migliore attrice in un film commedia o musicale), questo piccolo esercizio al risparmio di risorse tecniche ha conteso le statuette più importanti a Dunkirk, La Forma dell’Acqua, Il filo nascosto, L’ora più buia, Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Scheggia impazzita che ha eroso molti scettici e quinta donna mai candidata come regista, Greta Gerwing (la Nancy Tuckerman di Jackie) reca in sé il pregiudizio di gender e l’attenzione del neofemminismo hollywoodiano.
Che fosse un gingillo declinato al femminile lo avevamo capito dalle poche immagini dei teaser e dal layout della locandina, agli appassionati d’arte particolarmente fantasiosi il profilo audacemente fiero di Saoirse Ronan avrà richiamato la Battista Sforza di Piero della Francesca. Il contre-emploi simbolico non è un sicuro Federico da Montefeltro ma una puntuale Laurie Metcalf, madre e nume tutelare della protagonista. Preoccupata dalle difficoltà economiche familiari, Marion McPherson non può garantire l’istruzione che la figlia vorrebbe.
La vicenda di Christine McPherson – che si fa chiamare Lady Bird perché odia il nome dato dai genitori – riprende le isterie degli antieroi della gioventù bruciata e le riduce al contesto di provincia, riempiendole però di piccoli frammenti di saggezza, ori laccati in scrigni da trovare qua e là. I genitori hanno imparato la lezione degli anni Cinquanta e il coming-of-age non è segnato dallo scontro generazionale in sé ma dal duello di due donne. La ragazza-trampoliere andrà avanti per la sua strada fino all’epilogo, dove capirà l’importanza della madre.
A Greta Gerwing va il merito di avere scritto un personaggio non banale. Christine è proiettata in un mondo delle idee in cui l’esperienza è frutto della fertilità culturale, e quel “midwest della California del sud” le sta stretto. Ma non fa i conti con la mancanza di talento, non brilla eppure vuole emergere. Nessuna critica al sogno americano, anzi, il sospetto nei confronti di chi ha velleità artistiche e creative vacue rappresenta una piccola novità.
L’habitat di Sacramento è un interessante sottobosco di diversi, il ragazzo gay che non sa come fare outing, l’amica sovrappeso, il giovane musicista abulico che non ha nulla da dire (il Timothée Chalamet di Chiamami col tuo nome), la ragazza ricca, il fratello adottato – di diversa etnia – che vive a casa dei suoi con la ragazza, il pastore che mette a nudo il dramma personale piangendo, tutti fanno da contraltare ad una Lady Bird estrosa ma senza ragion d’essere al pari degli altri. Quella del film è una pesante lezione di nichilismo, emblema di un momento storico piatto e senza movimenti culturali e contro culturali, Jim Morrison è citato per i capelli ma nessuno sa chi è.
La realizzazione delle proprie emotività non porta ad alcuna riconciliazione catartica, si va avanti a dogmi e prassi socio-religiose da combattere ma non da annullare, la redenzione è un fatto privato e non assicura una maggiore serenità interpersonale. Gli ori preziosi sono da ricercare in un fondale arido ma lontano, nell’ostinazione del perseguire gli obiettivi nonostante tutto, nella denuncia di una fragilità di base che indebolisce l’America a tutte le latitudini – l’ambientazione è del 2002 post 11 Settembre non a caso – con cui la Gerwing prova a fare i conti senza darci la risposta.
È un film che da noi piacerà a pochi. Il romanzo di formazione d’oltreoceano per fortuna è meno esportabile del solito e totalmente privo di quella costruzione retorica che ha fatto le fortune di Hollywood. Ma se la sceneggiatura è encomiabile coi suoi stilemi da cinema indipendente, se la protagonista riesce sempre a sorprendere nell’imprevedibilità delle sue elucubrazioni, nel complesso la regia è meno importante del resto e alla fine della fiera mina i buoni propositi delle intenzioni. Se la candidatura post scandalo Weinstein è una chiave di lettura sbagliata, forse è altrettanto lecito pensare che tutte quelle nominations fossero troppe. Ad ogni modo il bilancio è di misura positivo, il Cinetecario non ne sconsiglia del tutto la visione.
Kimerol
Film citati:
Chiamami col tuo nome (Luca Guadagnino, 2017)
Dunkirk (Christopher Nolan, 2017)
Il filo nascosto (Paul Thomas Anderson, 2017)
La Forma dell’Acqua (Guillermo del Toro, 2017)
L’ora più buia (Joe Wright, 2017)
Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Martin McDonagh, 2017)
Lady Bird (Greta Gerwing, 2017)