Woody – A documentary, 2012. Quando Woody non incontra il suo vero

 

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Siamo abituati alla cultura manichea statunitense che divide ogni cosa in categorie contrapposte. Nel cinema il pubblico americano percepisce una storia come valida solo se, durante il suo svolgimento, caratteri estremi e in contrasto tra di loro ne compongano la struttura. Com’è ovvio la vicenda deve necessariamente scorrere verso una morale catartica che tutti sono stati condotti ad aspettarsi.

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Ma se una storia, come quasi sempre capita nella vita, non portasse da nessuna parte? Se i personaggi non fossero degli schizzati fanatici che oscillino dalla perfidia alla ingenuità più estreme? E se il Fato invece che traghettare verso voragini di infelicità o vette di purezza semplicemente ci arenasse sulla placida pianura del compromesso di un accomodamento generale? Insomma: se il cinema non raccontasse la favola della vita ma semplicemente la vita? Ecco perché Woody Allen, il geniale cineasta “ebreo-newyorkese”, non ha grande successo in patria ma viene idolatrato in Europa. Non è manicheo perchè crede nel compromesso per sovravvivere, non è moralista perchè ha un senso dell’umorismo troppo sviluppato, non è filo-americano perchè in realtà fila solo sé stesso, non è eroico e ne va fiero. Insomma non è un americano in senso stretto anche se nella realtà ha un modus operandi che è tipico degli anglosassoni democratici che considerano la cultura europea solo come un panorama pittoresco per le vacanze e non certo un modello di società. 

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Insomma è lui il primo a dispiacersi profondamente dell’incomprensione con i suoi connazionali (che non siano il gruppetto di intellettuali che lui non ama frequentare) in qualche modo accontentandosi dell’ammirazione europea. Infatti quello che noi pensiamo sia Allen è molto diverso nella realtà.

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Il personaggio Woody Allen non collima sempre con l’uomo Mr. Stewart Konigsberg. Basta vedere le tre ore di documentario Woody di Robert Weide del 2012, girato in un anno e mezzo tra il set londinese di Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni e la promozione di Midnight in Paris. Il sense of humor, la cortesia e la pacatezza sono le stesse ma il carattere dell’uomo risulta ben più tagliente, indisponente e spesso capriccioso di quello che si potrebbe immaginare.

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Allen ha un altissimo senso di sé e di quello che ha fatto nella vita. Non è l’indeciso sfigato che interpreta nei suoi film ma un uomo dal carattere d’acciaio, un aristocratico schizzinoso nei confronti della stupidità (straodinari i commenti sulla mediocrità dell’intervistatore Rai Vincenzo Mollica) e anche della superficialità del fanatismo dei suoi sostenitori. Uomo affascinato dall’antico più che dal moderno eppure fierissimo della sua cultura di bianco americano. Nota interessante e rivelatrice è la figura dell’ultima moglie e figlia adottiva Son-Yi, che ha un ruolo sorprendente di assistente e consigliera ma anche di colei che non gli risparmia critiche anche secche sulle sue scelte. 

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La forza del lavoro di Allen sta nell’inconsistenza dei ruoli dei suoi personaggi, mai troppo buoni o cattivi, troppo intelligenti o stupidi. Sono anime barcollanti tra i turbini esistenziali progettati dal regista. 

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Le tre ore di documentario, che si svolgono attraverso un intelligente montaggio costruito nel periodo intercorrente tra le riprese londinesi di Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni fino alla prima a Cannes di Midnight in Paris e relativa spossante promozione europea, raccontano la vita di Allen dall’infanzia piccolo borghese nel sobborgo di NY fino all’esordio come autore di barzellette per i quotidiani, arrivando prima alla carriera di autore televisivo negli anni Cinquanta / Sessanta, poi alle sceneggiature e infine al successo come autore / attore / regista durato quarant’anni.

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Interessante quello che possiamo trarre dal lavoro del cineasta: il principio che l’interazione tra esseri umani in un ambiente urbano produca una rete psicologica diffusa, costruita sulla interdipendenza psicologica tale che nessun individuo possa dirsi completamente a sé stante rispetto al rapporto voluto o obbligato con gli altri. La formazione del carattere e delle scelte dunque è un prodotto cumulativo costituito da pezzi di tutte le azioni e i caratteri altrui, dunque la rappresentazione di una storia non ha un vero protagonista ma solo dei coprotagonisti. Lui stesso si fa elemento di semplice tramite / testimone nella relazione tra caratteri i umani rappresentati (in Zelig questo principio diventa autocitazione di un’intera carriera).

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Questa visione patchwork della psicologia dei personaggi è l’affresco straordinario di un uomo che prima di altri ha compreso quanto la Città sia un luogo “psicotropo” capace di alterare per prima cosa la mente di chi vi abita. Città come una droga di cui Allen per primo è dipendente; New York, Parigi o Londra, metropoli che nei suoi film egli disegna come posti dove l’uomo, in tutta sicurezza, possa autodistruggersi in modo cosciente e controllato.

Lambert


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