Chi legge questo blog conosce benissimo l’esegesi dei film sugli squali assassini e giganti. Da Moby Dick di Melville al Pinocchio di Collodi, da Il Vecchio e il Mare di Hemingway al Colombre di Buzzati fino ad arrivare a Lo squalo di Peter Benchley, il mare viene rappresentato come il vero e unico mistero che la Terra conservi nonostante la conquista umana di ogni dove. Il mare come abisso inconoscibile a cui però possiamo facilmente accedere a nostro rischio e pericolo, sia come risorsa vitale sia come divertimento, pur mantenendo un incolmabile distacco con un ambiente che rimane nei fatti a noi alieno e misterioso.
JAWS – La paura del mistero e il senso di natura indomabile ha affascinato gli scrittori fin dall’epoca antica e i mostri, dal Kraken alle piovre, fino ai pescecani, sono diventati gli araldi di una paura atavica e mai completamente superata, nonostante le esplorazioni in alta profondità. Quando Peter Benchley nel 1974 scrive il bestseller mondiale Jaws, cioè “fauci”, si riapre un’era di isterica paura e masochistico interesse verso l’abisso, quasi che la coscienza del pubblico si fosse resa conto ad un tratto di quali spaventosi pericoli il mare effettivamente continui a presentare nonostante i porti turistici attrezzati, le spiagge sorvegliate, i sottomarini, gli elicotteri della guardia costiera e le imbarcazioni sempre più veloci. La storia era in realtà ispirata ad una mattanza avvenuta nel New Jersey nel 1916 quando in un’estate caldissima un giovane squalo bianco aveva ucciso diversi bagnanti lungo le coste.
Lo squalo del libro invece è una specie di kraken moderno, di enorme bestia preistorica, di forza cieca e spietata della natura che se ne infischia della società umana e della sua tecnologia, della morale – un bambino è uguale ad un cane o ad una ragazza – e degli spazi umanizzati. Semplicemente e furiosamente sopravvive uccidendo delle prede che, da conquistatori di terraferma, nel suo elemento diventano semplici animali da azzannare al di sotto della scala alimentare, come delle otarie o dei tonni. Il film di Spielberg del 1975, tratto dal libro che in Italia appunto si intitolerà Lo squalo, amplificherà ancora di più i temi centrali dell’opera di Benchley. Lo squalo è la natura indomita che si ribella al tentativo di umanizzare il pianeta Terra, la bestia che assume in modo semicosciente il ruolo di campione contro la logica umana e il suo desiderio di appropriarsi del suo ambiente vitale. L’uomo come intruso distruttore che si illude di conoscere la natura con il solo scopo di modificarla senza averne la forza. In realtà è un libro ecologista ante litteram.
Quando esce il libro Meg di Steve Alten nel 1996, la storia di un enorme megalodon, uno squalo bianco preistorico che semina morte e distruzione su scala più ampia di quello precedente, ritorna la passione per lo squalo assassino e nei lustri successivi il cinema di Serie B produrrà film più o meno mediocri con effetti speciali economici. A distanza di vent’anni Meg, film dal mega budget con Jason Statham, uscirà (nel 2018) con l’egida di far dimenticare le pellicole scalcinate che l’hanno preceduto.
THE SHALLOW – Ovvero “la secca”, di Jaume Collet-Serra, da noi tradotto in Paradise Beach – Dentro l’incubo, è la storia di una ragazza ovviamente molto carina, Blake Lively, una surfista (che è anche un medico, e questo la aiuterà non poco) che si reca in una località piuttosto selvaggia del Messico per trovare le onde perfette. In realtà sta cercando di dimenticare il dolore per la madre morta – il mare dunque come speranza e bellezza che guarisce, ma che si rivelerà una trappola spaventosa. L’eccesso di sicurezza la porta a nuotare nel territorio di caccia di una enorme femmina di squalo bianco di circa sette metri e da questo momento si svolgerà un epico duello tra le due femmine.
Bisogna subito dire che rispetto ai precedenti film gli effetti speciali sono di eccellente livello e il bestione in CGI è assolutamente credibile e spaventoso. La bellissima fotografia conserva tonalità forti e un’impronta cromatica dai contorni scuri che immediatamente suggerisce la durezza della natura, piuttosto che la cartolina turistica di una spiaggia da surfisti.
Il duello ricorda quello di alcuni film giapponesi o western, man mano che divampa diventa sempre più alla pari. Mentre lo squalo, che in fin dei conti è un animale ingenuo, inizialmente ha la meglio nel suo ambiente fluido (in cui è all’apice della scala alimentare favorito dalla ferocia e dalla forza), la vittima, attraverso l’intelligenza e la furbizia ma anche la forza d’animo (potremmo dire morale) si troverà a dare del filo da torcere alla bestia fino all’incredibile epilogo.
Il film riesce a portarci a pochi centimetri dall’azione con riprese ravvicinate, lo spettatore vive le atroci sofferenze della protagonista che trova in una secca di rocce taglienti un margine di salvezza sul mostro, prima che la marea risalga consegnandola alle fauci orrende del pesce. Inutile dire che chiunque abbia un minimo di timore nei confronti del mare in questo film troverà la realizzazione di tutti i suoi più terribili incubi.
Regia perfetta soprattutto nelle scene d’azione, fotografia assolutamente in linea con il senso della paura e dell’orrore della storia, montaggio asciutto, musica adeguata ma non originalissima, interpreti credibili nei quali non si fa fatica a impersonarsi chiedendosi continuamente – direi ossessivamente – che cosa mai avremmo potuto fare al posto della ragazza. La mia personale risposta, inutile dire, è stata: un veloce suicidio.
Lambert
Film evocati:
Lo Squalo (Steven Spielberg, 1975)
Paradise Beach – Dentro l’incubo (Jaume Collet-Serra, 2016)